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mercoledì 21 luglio 2010

PADRE NASTASI, UN UOMO, UN SACERDOTE.


Non era un uomo per le grandi vetrine. I superiori, pensando alla maniera come utilizzarlo, immaginarono per lui, incarichi sempre di minor conto.

Talvolta, nella Chiesa, quel che avviene pare non aver un senso preciso. Questo, però, agli occhi di chi, per valutare, utilizza il metro comune dell’umano sentire. Trascura, infatti, che dietro ogni decisione si nasconde la trascendenza del divino sapere. C’è sempre, quindi, una precisa volontà. Quella cioè di destinare ogni cosa nel punto giusto perché si compia un preciso disegno. E, solo pensando a questo, ogni incongruenza si dissolve, ogni disarmonia riacquista l’ordine della melodia che ti conquista e ti fa comprendere.

A padre Antonino Nastasi, per altro, nella cerimonia di ringraziamento a quanti avevano con lui diviso la gioia dell’ordinazione, la mamma non aveva formulato auguri per chissà quali affermazioni. No. A conclusione del suo discorso, come buon viatico, aveva affidato il messaggio che i tre simboli che gli consegnava con il loro significato rappresentavano.

Nella sua semplicità disse: Figlio, ti dono un bianco giglio perché del suo candore tu possa rivestire la tua anima, una violetta perché della sua umiltà possa farne una regola e un ramo di acuminate spine perché tu sappia quanto difficile sia il cammino che porta a Dio.

Il giovane sacerdote, dopo provvisori incarichi di supporto in varie parrocchie, venne destinato a Braidi, una piccolissima frazione di Montalbano Elicona. Nascosta tra le irte pendici dei monti Nebrodi e servita solo da viottoli e mulattiere. Raggiunse Falcone in treno e poi in cammino, a piedi, con il peso della sua valigia. Dopo una sosta per dormire, in un’aia dove i contadini trebbiavano le messi, alle prime luci dell’alba, entrò nell’abitato di Braidi.

Solo un gruppo di case, sparse qua e là per le campagne, una piccola chiesa ed un buon numero di persone, per lo più contadine.

Il tempo di rendersi conto della realtà nella quale era chiamato ad operare, dei tantissimi bisogni esistenti , anche i più elementari, di apprezzare la bontà di quella brava gente che portò sempre nel cuore e poi un trasferimento.

Santissimo Salvatore, una frazione del comune di Rocca Valdina, ancora più piccola di Braidi.

Di essa, le cartine geografiche, anche le più dettagliate, non facevano alcuna menzione. E c’era più che una ragione per non farla. Si trattava infatti di un aggregato di casette, di tipo agricolo, posto sulla riva destra del torrente S. Salvatore, capace di accogliere un centinaio di persone. Poco più, poco meno. Nessuna strada. Solo viottoli a fondo interrato. L’acqua per bere, per le pulizie, veniva attinta da qualche pozzo. Niente fognatura. Il modo come rischiarare l’interno di quelle piccole case era quello del dopo guerra: qualche lume a petrolio e per il resto piccole “lumere” ad olio.

Una stanza attrezzata a cappella ed una campana erano gli strumenti a disposizione del giovane parroco.

In compenso, tra tanta penuria, scoprì tanto amore tra la gente. Nel suo animo scattò come una molla. In maniera forte e prorompente esplose in lui l’esigenza di dare aiuto a quella gente della quale si sentiva sempre più padre e custode. Pensò di sensibilizzare le autorità comunali, di indurle a riflettere sullo stato di insopportabile disagio nel quale vivevano quelle persone. Gridò a tutti ed in tutte le sedi il rispetto della dignità umana. Parlò di responsabilità umane e morali. Lo fece con ciò che l’uomo Nastasi aveva dentro: il coraggio, la forza e la disponibilità alla lotta per la difesa di quegli inalienabili valori.

Tante belle parole come risposta. Tanti vedremo, tanti faremo. Nella realtà, nessuna concreta iniziativa e questo, nell’esacerbare vieppiù il suo animo, gli conferiva ulteriore spinta per insistere, per combattere quella giusta battaglia.

Decise allora di dare sostanza alla sua iniziativa. Pensò di capeggiare un vero e proprio movimento di protesta. Tanto pacifica, quanto decisa.

Alle prime ore dell’alba di un giorno prefissato, col vigoroso rintocco della sua campana raccolse attorno alla chiesetta tutti i suoi parrocchiani. Uomini, donne e bambini che molte madri portarono dietro in ceste legate alle spalle. Tenne loro un breve discorso. Alla sua maniera, vibrata, convincente e, perché no, commovente. Disse che il loro compito era solo quello di seguirlo. Con molta dignità e senza manifestazioni scomposte. Toccava solo a lui parlare, solo sue dovevano essere le responsabilità.

Erano tutti presenti quelli di S. Salvatore. Obbedienti e fedeli attorno al giovane parroco che, sempre più, appariva ai loro occhi come il simbolo della loro libertà, dei loro diritti.

Per raggiungere Rocca Valdina altro non c’era se non gli impervi viottoli che tutti ben conoscevano. Intorno alle otto erano tutti in piazza, davanti al municipio. Padre Nastasi pensò che qualcuno dei suoi stessi parrocchiani “se l’era cantata” perché, lì ad attenderli, non solo trovarono il Sindaco e gli altri amministratori ma anche il Tenente dei Carabinieri con molti uomini, attrezzati per soffocare sul nascere ogni manifestazione di disordine.

Ben sapeva l’Ufficiale che a capo di quel movimento c’era il giovane sacerdote. A lui infatti si rivolse con l’ammonimento di sciogliere subito quell’adunanza di persone. Padre Nastasi non mostrò segni di cedimento. Riconobbe come poco ortodossa la sua iniziativa ma, con il cuore in mano, pregò quel Tenente di vedere lo stato di bisogno di quelle persone, di rendersene interprete e se rientrava nei suoi poteri di certificare quella situazione inumana e la sua insostenibilità.

Quell’uomo in divisa, tutto d’un pezzo, mostrò di possedere sentimenti di profonda comprensione e uno spiccato senso di responsabilità professionale e deontologica.

Seguì padre Nastasi a S.Salvatore, prese atto della gravità della situazione e si rese poi protagonista di diverse segnalazioni che aprirono la strada ad un’era nuova.

Da quel momento, padre Nastasi allacciò rapporti con vari politici. Verso costoro mai però atteggiamenti di sudditanza. Nei loro confronti tenne sempre la schiena dritta ma con modi gioviali e gradevoli. Diceva spesso: gli uomini politici, stando con me e misurandosi con le necessità dei deboli hanno imparato a considerare il loro mandato come un compito assegnato da Dio.

Da costoro ebbe gli aiuti perché si potessero realizzare rete elettrica, fognature, acquedotto, strade interne e di collegamento, una nuova Chiesa, scuole, case popolari, opere per lo svago dei giovani e quant’altro necessario a quella popolazione che, nel frattempo, cresceva in numero di abitanti e coscienza civica.

Questo il Nastasi uomo. Quello che, nel silenzio, era apprezzato, ammirato e voluto bene per la profondità dei suoi sentimenti e per la generosità, perfino del suo niente.

La statura della sua personalità, pur se lievitata senza osanna, sembrava avesse finito col isolare entro limiti angusti ed impropri, la spiritualità profonda che animava invece il Nastasi sacerdote. È motivo assai ricorrente, infatti, che i riflettori orientati sugli aspetti più appariscenti di un individuo finiscono con l’oscurarne i valori più nobili, quelli su cui si fonda la dimensione spirituale della sua anima.

Le sue omelie, intense, toccanti, dense di riferimenti biblici ed accostamenti alla vita dell’uomo, erano una sorta di biglietto da visita del suo essere sacerdote. Un modo, quasi, di pregare a voce alta, una maniera forte ed incisiva per trasferire nell’animo dei suoi fedeli la forza della parola di Dio. Una preghiera che rendeva più intensa, fino al sublime, con il canto della sua schola cantorum.

E, quando, lo sovrastavano momenti di apparente aridità dell’anima, del pensiero, amava ricordare, un rifugio io lo possiedo: la morale, punto centrale della vita dell’uomo e del buon cristiano.

Addio Padre Nastasi, per la forza del tuo animo, per l’umiltà raccomandatati dalla tua mamma, Iddio, padre degli umili e dei forti, apprezzando le difficoltà vissute lungo il cammino che conduce a Lui, siamo più che certi, avrà trasformato quel serto di spine nella corona che cinge i giusti.

Peppino Scibilia


San Pier Niceto 11.06.2010

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